A rischio due misure di pensione anticipata molto amate: il Governo di Giorgia Meloni avrebbe intenzione di cancellarle a breve.
Il nodo più grande da sciogliere, il terreno più scottante su cui camminare resta sempre quello delle pensioni. Trovare una quadra che accontenti tutti sembra impossibile. Per ogni passo avanti sembra che, poco dopo, sia necessario farne due indietro per non compromettere la stabilità dell’intero sistema previdenziale.

Piaccia oppure no, in tal senso, la Legge Fornero si è rivelata utile a non far crollare a picco le casse dell’Inps, messe duramente alla prova da un’infinità di errori commessi nel passato. Solo per citarne due: baby pensioni e assegni calcolati con il sistema retributivo. Errori che stiamo pagando ancora oggi e che pagheranno anche le generazioni future.
I giovani scelgono l’estero: Paesi con più opportunità di fare carriera e con stipendi più alti. Ma tutto questo toglie preziosi contributi all’Inps costretta ad erogare assegni per un numero di anni sempre più alto visto che l’aspettativa di vita continua a salire. Come uscire da questa impasse? La soluzione più probabile è l’abolizione delle pensioni anticipate: due sono le misure particolarmente a rischio.
Pensioni: addio a queste due misure
Il peso di tutte queste misure di pensione anticipata in vigore non può più essere sopportato dalle casse dell’Inps: sembra inevitabile che l’Esecutivo faccia un passo indietro e cancelli almeno qualche opzione. Le più a rischio sembrano essere proprio le misure più amate dai lavoratori.

La prima misura che potrebbe saltare già con la prossima manovra di Bilancio è Quota 103, “cugina stretta” di Quota 100, introdotta dal primo Governo Conte nel 2019. Le pensioni a Quote prevedono un forte sconto sull’età e, per questo, sono molto amate dai lavoratori ma pesano decisamente troppo sulle casse statali visto che si rivolgono a tutte le categorie senza distinzione.
Quota 103 consente di accedere alla pensione ad appena 62 anni: ben 5 anni prima rispetto all’età necessaria per la pensione di vecchiaia ordinaria. E’ vero che servono almeno 41 anni di contributi ma è anche vero che sono tante le persone – soprattutto tra i dipendenti pubblici – che, avendo iniziato a lavorare presto, riescono a sfruttare questa opzione. Per l’Inps significa erogare assegni per 5 anni di più ad ogni soggetto che se ne avvale: un salasso vero e proprio!
La seconda misura che potrebbe saltare è Opzione Donna che, dopo ben 21 anni di vita, non è mai diventata strutturale. Opzione Donna è stata più volte modificata ma, in ogni caso, continua a pesare troppo allo Stato. Nel 2025, per fruirne, occorre avere almeno 61 anni – 60 se si ha un figlio, 59 se i figli sono due o di più – e non meno di 35 anni di contributi.

Fino al 2023 si rivolgeva a tutte le donne, mentre attualmente si rivolge solo a queste categorie:
- caregivers;
- lavoratrici con invalidità pari o superiore al 74%;
- disoccupate;
- dipendenti di aziende in crisi.
A ben vedere è fruibile più o meno dalle medesime categorie a cui si rivolge Ape sociale con la differenza che, per beneficiare di quest’ultima, occorre aspettare di avere almeno 63 anni e 5 mesi e l’assegno mensile non può mai superare i 1500 euro. Ragione per la quale il Governo potrebbe decidere di cancellare Opzione Donna e dirottare le possibili beneficiarie verso Ape sociale.