Il datore di lavoro non ti paga, ma passa dalla ragione: diamo il benvenuto alla nuova legge Pogliese

L’Italia ha appena approvato una legge che, paradossalmente, protegge chi non paga il dipendente o lo paga troppo poco: se non fai causa subito, perdi tutto.

Non nasce per colpire i lavoratori, s’intende, ma per ‘mettere ordine’. Questo, almeno sulla carta, l’obiettivo dell’emendamento Pogliese, infilato nel decreto Ilva. L’idea è ridurre i contenziosi, dare certezza alle aziende, evitare che le cause restino aperte per anni e che le richieste arrivino troppo tardi. Secondo i promotori, è una misura tecnica: non tocca il diritto alla retribuzione, solo i tempi e i modi con cui lo si fa valere.

Illustrazione mano gigante che da una moneta a lavoratore piccolo
Il datore di lavoro non ti paga, ma passa dalla ragione: diamo il benvenuto alla nuova legge Pogliese – chieseromanichesardegna.it

Per le imprese, infatti, il problema sono le rivendicazioni tardive, spesso basate su documenti parziali o su rapporti conclusi da tempo. Ma quella che sembra una semplificazione, rischia di trasformarsi in un ostacolo concreto per chi lavora. Soprattutto nei settori dove il silenzio è spesso l’unica opzione. E visto che la norma è passata, tanto vale capire come funziona – e dove può fare più male.

Cosa prevede davvero la norma Pogliese e a cosa devono fare attenzione i lavoratori

Partiamo dal cuore dell’emendamento: la prescrizione anticipata. Prima si avevano cinque anni a partire dalla fine del contratto per chiedere stipendi o indennità non pagate. Ora quei cinque anni iniziano a scorrere durante il lavoro. Tradotto: se non agisci in tempo, anche mentre sei ancora assunto, perdi il diritto a farti pagare.

Salvo Pogliese
Cosa prevede davvero la norma Pogliese e a cosa devono fare attenzione i lavoratori (credit: ANSA) – chieseromanichesardegna.it

Secondo snodo: dopo aver inviato una diffida scritta (magari per straordinari o ferie mai pagate), hai solo 180 giorni per fare ricorso. Se salti questa finestra, addio soldi. Nessuna proroga, nessuna deroga.

Terzo punto: se il datore applica un contratto collettivo firmato da un sindacato rappresentativo, la retribuzione si presume ‘giusta’. Il giudice potrà intervenire solo in caso di squilibri gravi – e potrà farlo solo da quel momento in poi. Niente arretrati, anche se hai lavorato sottopagato per anni.

Alla luce di ciò, il rischio è evidente: penalizzare chi non ha la forza – o la possibilità – di reagire subito. Per capirci, prendiamo il caso di Marco, operaio da anni in un’azienda con più di 15 dipendenti. Non riceve lo stipendio completo, ma per paura di ritorsioni resta in silenzio. Passano tre anni. Quando finalmente si muove, scopre che i suoi arretrati sono già prescritti. Manda una diffida, ma non riesce ad avviare la causa in tempo. Risultato: perde tutto. Anche se aveva ragione.

Il problema, che si ricollega in ogni caso a lacune nello stipendio, non sono solo gli arretrati. Se il contratto è ‘ufficiale’, va bene anche una paga al minimo sindacale. O sotto. La legge presume che sia tutto in regola. E così, anche il famoso salario minimo resta un’illusione da libro dei sogni. Quindi sì, avrà la sua utilità per aziende alle strette, ma se si ha o si stipula un contratto subordinato, ad oggi conviene tenere gli occhi aperti.

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