L’abito tradizionale sardo non va inteso come una mera vestigia celebrativa del passato: è un simbolo vivo, che racconta un’identità.
Lo si vede indossato dai gruppi folkloristici durante processioni, manifestazioni e festività cittadine o regionali, ma viene anche recuperato dai singoli per le feste private e le occasioni più importanti della vita quotidiana. Ogni città sarda ha un suo costume, maschile e femminile. E la tradizione è vivida e sentita che mai. Le comunità danno grande valore alla memoria e si impegnano attivamente per preservare e valorizzare quei costumi.

Mostre, sfilate e iniziative culturali celebrano dunque l’importanza storica e sociale di costumi che hanno preso forma nel XVI secolo e che hanno continuato a rappresentare l’apparenza delle genti fino a duecento anni fa. Gli antropologi e gli storici sanno bene che, un tempo, l’abito aveva una chiara funzione sociale.
Con i suoi colori, i suoi simboli, doveva rendere immediatamente riconoscibili alcuni elementi chiave dell’identità della persona che lo indossava. E ancora oggi l’abito tradizionale sardo non va indossato a caso: deve raccontare la regione di provenienza del soggetto, il suo sesso e l’età. Persino lo stato civile è definito dalla veste, così come il ruolo all’interno della comunità.
Gli ornamenti (gli affascinanti ricami e i vari decori) cambiano dunque a seconda del ceto sociale e del rango. I colori sgargianti e più vivaci identificavano le famiglie benestanti. Il blu e il rosso erano i colori dei costumi dei contadini e dei più poveri.
La simbologia viva dell’abito tradizionale sardo
Ancora oggi, nell’abito tradizionale sardo, i colori esprimono dei concetti. Con il rosso si cerca protezione contro le energie negative. Il blu è il simbolo del legame profondo con il mare. Il nero non è solo un riferimento al lutto ma anche simbolo di rispetto. E poi c’è il bianco, il colore più spirituale, da indossare durante le cerimonie.

Un tempo tutti gli abiti erano di lana o lino. Poi sono stati introdotti tessuti più preziosi, come il velluto e il broccato, da decorare riccamente. Magari anche con ricami in oro e argento. Ancora oggi le tecniche di ricamo sono tramandate di generazione in generazione: I giovani continuano dunque ad arricchire gli abiti con motivi tradizionali.
Anche la berrita, il tipico copricapo isolano, ha avuto un’importante evoluzione. Un tempo fatto di lana scura o di semplice panno nero e parte fondamentale costume tradizionale maschile, è diventato più lungo (può arrivare anche a un metro, come succede nel Nuorese e nel gennargentu) e viene generalmente adottato per le serate danzanti. E non è raro che la moda ordinaria riproponda la classica camicia, chiamata ghentone, con il colletto stropicciato, accompagnata con uno zipone, cioè la giacca a doppio petto.
Anche il cappotto di albagio nero, con maniche di velluto e cappuccio, è un simbolo immediatamente riconoscibile del costume sardo. Quasi quanto il gilé di pelli d’agnello indossato dai pastori. Gli abiti femminili possono essere ancora più preziosi e ricchi di simboli. Ci sono quelli giornalieri, con il grembiule o franda in panno nero, blu o raramente anche verde e decorato con ricami in stile naturalistico, quelli da sposa e quelli da vedova. Tante anziane ancora portano sul capo il mucadore, un fazzoletto senza ricami. E tanti giovani stilisti continuano a ispirarsi a questi abiti per creare nuovi modelli.